Editorial
Il Ticino, il coronavirus e la libera circolazione
von
Peter Schiesser, Vicepresidente dell'ASPE
| März 2020
Il timore che il governo italiano impedisse ai frontalieri di andare a lavorare in Ticino ha creato grande apprensione, improvvisamente nel cantone a sud del Gottardo ci si è ricordati che i lavoratori italiani sono fondamentali per far funzionare l'economia e le strutture socio-sanitarie.
Dieci giorni dopo il primo caso conosciuto di contagio da Coronavirus in Svizzera, in Ticino ci si è resi conto di una realtà fondamentale: la frontiera non esiste. I legami personali, professionali e di studio con l'Italia, in particolare con la Lombardia e il resto del nord Italia, sono profondi e reciproci; ed è ormai evidente che non possiamo fare a meno dei frontalieri italiani, perché il sistema economico e quello socio-sanitario subirebbero un crollo drammatico, ma anche il sistema scolastico, in particolare quello superiore, subirebbe un impatto sensibile.
Infatti, il sollievo è stato grande nelle autorità, nel mondo economico e pure in una grande parte della popolazione quando nel pomeriggio di domenica 8 marzo il governo italiano ha comunicato che i frontalieri possono ancora venire in Ticino a lavorare. L'incubo sorto la sera prima con le indiscrezioni sulla bozza di decreto governativo, da cui risultava che l'intera Lombardia e 14 province del nord e centro Italia sarebbero state chiuse, si era fortunatamente dissolto – almeno nell'immediato.
Come voteranno i ticinesi il 17 maggio?
Forse i ticinesi il 17 maggio voteranno in modo diverso sull'iniziativa popolare dell'UDC per l'abolizione della libera circolazione delle persone da quanto previsto fino all'arrivo del Coronavirus? In passato, ogni oggetto federale sulle relazioni con l'Unione europea è stato respinto con una proporzione di 2 votanti a 1, ma adesso?
È presto per fare delle previsioni, la minaccia di un contagio di massa in Ticino a causa delle vicinanza con la Lombardia può rafforzare in chi è favorevole all'iniziativa la convinzione che si starebbe meglio con meno frontalieri italiani in casa. Tuttavia, persino la Lega dei Ticinesi, allineata all'UDC sul fronte anti-europeo, ha proposto di vietare l'entrata in Ticino alla maggior parte dei 68mila frontalieri ad eccezione degli oltre 4000 che sono impiegati negli ospedali e nelle case di cura come medici, infermieri, assistenti di cura e tecnici. Anche la Lega è dunque consapevole che senza di loro il sistema socio-sanitario ticinese andrebbe totalmente in crisi – lo sarebbe anche in tempi normali, ma ora, con il Coronavirus, rinunciare all'apporto dei frontalieri italiani equivarrebbe a un suicidio. La proposta evidenzia molto bene la situazione contraddittoria e ambigua in cui si trova il Ticino, e in questo caso anche i populisti del Movimento che fu di Giuliano Bignasca: per avere abbastanza persone che curino malati e anziani ci assumiamo il rischio di portare il virus proprio nelle case per anziani e negli ospedali.
Questa consapevolezza di quanto il Ticino abbia bisogno dei suoi 68mila frontalieri italiani per funzionare come funziona oggi è un elemento nuovo nel dibattito politico pro e contro Unione Europea (e Italia). Molti, soprattutto nel mondo economico, la condividono da anni e tentano di trasmetterla alla maggioranza della popolazione, ma finora senza esito: di fronte all'importanza di mantenere gli accordi bilaterali con l'Unione europea, che decadrebbero a causa della clausola ghigliottina se il 17 maggio il Popolo svizzero accettasse l'iniziativa dell'UDC, il riflesso di molti cittadini ticinesi è stato di rispondere che la libera circolazione crea troppi problemi. Ogni vantaggio presente negli altri accordi veniva banalizzato o ignorato, i vantaggi che pur presenta la libera circolazione anche per l'economia ticinese negati sulla base dei problemi che causa al mercato del lavoro. Sono tanti o pochi, questi problemi? I pareri divergono a seconda della posizione ideologica. Ma qualcosa di sottile dal 7 marzo potrebbe essere cambiato: se fino a ieri chi si oppone alla libera circolazione e vuole arginare il numero di frontalieri citava spesso esempi che non lo riguardavano direttamente, quando si è temuto che le frontiere con la Lombardia si chiudessero immediatamente, molti si sono resi conto di essere toccati in prima persona: la badante frontaliera del parente anziano e malato, la domestica, la donna delle pulizie, il giardiniere, il muratore, l'elettricista... tutti questi e molti di più non sarebbero più potuti venire, senza contare i colleghi di lavoro frontalieri che fanno sì che l'azienda in cui si lavora possa continuare a funzionare.
I frontalieri sono cruciali per l'economia e le strutture sanitarie
Il fatto che il Ticino non può fare a meno dei frontalieri italiani mostra un'altra realtà: l'economia ticinese – ma lo stesso discorso vale anche per il resto della Svizzera – è sovradimensionata rispetto alla popolazione residente. Può sussistere in questa forma solo perché esporta i suoi prodotti nel mondo e importa manodopera. E il Ticino può permettersi la sua attuale struttura socio-sanitaria solo perché può attingere personale dall'Italia. Il 17 maggio vedremo se e quanto sarà cresciuta nella popolazione ticinese questa consapevolezza.
Dieci giorni dopo il primo caso conosciuto di contagio da Coronavirus in Svizzera, in Ticino ci si è resi conto di una realtà fondamentale: la frontiera non esiste. I legami personali, professionali e di studio con l'Italia, in particolare con la Lombardia e il resto del nord Italia, sono profondi e reciproci; ed è ormai evidente che non possiamo fare a meno dei frontalieri italiani, perché il sistema economico e quello socio-sanitario subirebbero un crollo drammatico, ma anche il sistema scolastico, in particolare quello superiore, subirebbe un impatto sensibile.
Infatti, il sollievo è stato grande nelle autorità, nel mondo economico e pure in una grande parte della popolazione quando nel pomeriggio di domenica 8 marzo il governo italiano ha comunicato che i frontalieri possono ancora venire in Ticino a lavorare. L'incubo sorto la sera prima con le indiscrezioni sulla bozza di decreto governativo, da cui risultava che l'intera Lombardia e 14 province del nord e centro Italia sarebbero state chiuse, si era fortunatamente dissolto – almeno nell'immediato.
Come voteranno i ticinesi il 17 maggio?
Forse i ticinesi il 17 maggio voteranno in modo diverso sull'iniziativa popolare dell'UDC per l'abolizione della libera circolazione delle persone da quanto previsto fino all'arrivo del Coronavirus? In passato, ogni oggetto federale sulle relazioni con l'Unione europea è stato respinto con una proporzione di 2 votanti a 1, ma adesso?
È presto per fare delle previsioni, la minaccia di un contagio di massa in Ticino a causa delle vicinanza con la Lombardia può rafforzare in chi è favorevole all'iniziativa la convinzione che si starebbe meglio con meno frontalieri italiani in casa. Tuttavia, persino la Lega dei Ticinesi, allineata all'UDC sul fronte anti-europeo, ha proposto di vietare l'entrata in Ticino alla maggior parte dei 68mila frontalieri ad eccezione degli oltre 4000 che sono impiegati negli ospedali e nelle case di cura come medici, infermieri, assistenti di cura e tecnici. Anche la Lega è dunque consapevole che senza di loro il sistema socio-sanitario ticinese andrebbe totalmente in crisi – lo sarebbe anche in tempi normali, ma ora, con il Coronavirus, rinunciare all'apporto dei frontalieri italiani equivarrebbe a un suicidio. La proposta evidenzia molto bene la situazione contraddittoria e ambigua in cui si trova il Ticino, e in questo caso anche i populisti del Movimento che fu di Giuliano Bignasca: per avere abbastanza persone che curino malati e anziani ci assumiamo il rischio di portare il virus proprio nelle case per anziani e negli ospedali.
Questa consapevolezza di quanto il Ticino abbia bisogno dei suoi 68mila frontalieri italiani per funzionare come funziona oggi è un elemento nuovo nel dibattito politico pro e contro Unione Europea (e Italia). Molti, soprattutto nel mondo economico, la condividono da anni e tentano di trasmetterla alla maggioranza della popolazione, ma finora senza esito: di fronte all'importanza di mantenere gli accordi bilaterali con l'Unione europea, che decadrebbero a causa della clausola ghigliottina se il 17 maggio il Popolo svizzero accettasse l'iniziativa dell'UDC, il riflesso di molti cittadini ticinesi è stato di rispondere che la libera circolazione crea troppi problemi. Ogni vantaggio presente negli altri accordi veniva banalizzato o ignorato, i vantaggi che pur presenta la libera circolazione anche per l'economia ticinese negati sulla base dei problemi che causa al mercato del lavoro. Sono tanti o pochi, questi problemi? I pareri divergono a seconda della posizione ideologica. Ma qualcosa di sottile dal 7 marzo potrebbe essere cambiato: se fino a ieri chi si oppone alla libera circolazione e vuole arginare il numero di frontalieri citava spesso esempi che non lo riguardavano direttamente, quando si è temuto che le frontiere con la Lombardia si chiudessero immediatamente, molti si sono resi conto di essere toccati in prima persona: la badante frontaliera del parente anziano e malato, la domestica, la donna delle pulizie, il giardiniere, il muratore, l'elettricista... tutti questi e molti di più non sarebbero più potuti venire, senza contare i colleghi di lavoro frontalieri che fanno sì che l'azienda in cui si lavora possa continuare a funzionare.
I frontalieri sono cruciali per l'economia e le strutture sanitarie
Il fatto che il Ticino non può fare a meno dei frontalieri italiani mostra un'altra realtà: l'economia ticinese – ma lo stesso discorso vale anche per il resto della Svizzera – è sovradimensionata rispetto alla popolazione residente. Può sussistere in questa forma solo perché esporta i suoi prodotti nel mondo e importa manodopera. E il Ticino può permettersi la sua attuale struttura socio-sanitaria solo perché può attingere personale dall'Italia. Il 17 maggio vedremo se e quanto sarà cresciuta nella popolazione ticinese questa consapevolezza.
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Editorial
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Editorial
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