Editorial
Brexit: una vittoria di Pirro?
von
Peter Schiesser, Vicepresidente dell'ASPE
| Januar 2021
Annunciato con molta enfasi alla Vigilia di Natale, il Trattato di libero scambio fra la Gran Bretagna e l'Unione europea ha riacceso gli appetiti degli euroscettici in Svizzera. Tuttavia, le condizioni fra i due paesi sono molto diverse, e le conseguenze della Brexit sono ancora tutte da scoprire.
C'è stato un gran giubilo, per l'accordo annunciato la Vigilia di Natale fra la Gran Bretagna e l'Unione Europea. In effetti, non è impresa da poco concludere un trattato di libero scambio che regoli il flusso di scambi commerciali per 700 miliardi di euro annui in soli 10 mesi, smentendo i negoziatori di Bruxelles che inizialmente prevedevano di impiegarci tre o quattro anni. E il giubilo si è riverberato un po' anche in Svizzera, dove è stato messo l'accento sul fatto che la Corte di giustizia dell'Unione Europea non avrà voce in capitolo nel trattato.
Ma prima di tutto: possiamo davvero già definirlo un successo? E sulla base di quale aspettative si potrà considerare un successo, negli anni a venire, la Brexit? Ricordiamo che si tratta di una hard Brexit, la soluzione peggiore a parte una hard Brexit con un no deal, ancora più devastante. Le previsioni di alcuni economisti britannici sono di una perdita del 4 per cento del Prodotto interno lordo su dieci anni. Tuttavia, allo stato attuale hanno prevalso le considerazioni politiche su quelle economiche. Rivelatore è il fatto che Boris Johnson ha dato più peso alla pesca (compresa nel trattato) che alla finanza (non compresa), benché la prima conti meno dell'1 per cento del PIL mentre la seconda rappresenta il 7 per cento: come dichiarato in novembre dall'ex premier britannico Tony Blair «per molti mesi è stata messa la maggior parte degli sforzi nella difesa della nostra pesca, che rappresenta una parte una piccolissima dell'economia, e a non metterne praticamente nella finanza, dove siamo leader mondiali; non dico che non si debba provare a difendere la pesca, ma un giorno bisognerà che il Regno Unito torni nel mondo reale».
Hard Brexit, l'eredità di Theresa May
Take back control, dunque, è stato lo slogan, il mantra decisivo di Boris Johnson e dei brexiteers. Potere decidere il proprio destino nazionale senza dover tener conto di Bruxelles e della Corte di giustizia dell'Unione europea. Ma questo si è potuto raggiungere solo al prezzo della rinuncia alla partecipazione al mercato europeo. Non è sempre stata questa la posizione britannica: al momento del referendum, nel giugno 2016, persino i brexiteers erano favorevoli ad una forma di integrazione nel mercato europeo, fosse anche con l'unione doganale, è stata Theresa May a spostare l'ago della bilancia verso una hard Brexit, poiché la sovranità la si poteva ottenere solo in quel modo. Una posizione poi fatta propria anche da Boris Johnson, anche se lui aveva ancora promesso ai britannici di ottenere «il panino e i soldi del panino».
Un accordo commerciale dell'ampiezza di 700 miliardi di euro all'anno, senza dazi doganali e senza le pastoie della Corte di giustizia dell'Unione europea, recuperando una totale sovranità? Un risultato che non poteva non piacere agli euroscettici anche in Svizzera, non solo nelle fila dell'UDC. Immediatamente, è stato sollevato da più parti l'interrogativo se nelle trattative per l'accordo istituzionale con l'Ue che il Consiglio intende riaprire con Bruxelles non possa rientrare anche una soluzione di arbitraggio diversa, che non comprenda la Corte di giustizia dell'Unione europea. Se ci è riuscita la Gran Bretagna, perché non può riuscirci anche la Svizzera?
La Svizzera è parte del mercato europeo allargato
In realtà, la condizione di partenza è molto diversa. La professoressa di diritto europeo Christa Tobler lo ha sintetizzato bene, in un'intervista al Tages Anzeiger (29.12.2020): «la Svizzera appartiene al mercato europeo allargato, l'accesso è regolato dagli Accordi bilaterali, che contengono molto diritto europeo (...) Il Trattato di libero scambio fra Gran Bretagna e Unione europea non contiene diritto europeo, per cui la Corte di Giustizia dell'Ue non gioca alcun ruolo». Inoltre - sia ricordato - se è vero che la Gran Bretagna avrà le sue norme, queste non potranno essere in conflitto con quelle europee sulla libera concorrenza (quindi anche sugli aiuti statali), sulla socialità, sull'ambiente, altrimenti incorrerebbe in sanzioni, quindi dazi doganali. La sovranità è dunque limitata, nei fatti.
In conclusione, se la Svizzera (anche nell'ambito dell'accordo istituzionale in discussione) volesse liberarsi delle pastoie della Corte di giustizia dell'Ue lo potrebbe fare solo al prezzo di rinunciare agli Accordi bilaterali, accontentandosi di un trattato di libero scambio. Ritrovandosi catapultata indietro di 50 anni.
C'è stato un gran giubilo, per l'accordo annunciato la Vigilia di Natale fra la Gran Bretagna e l'Unione Europea. In effetti, non è impresa da poco concludere un trattato di libero scambio che regoli il flusso di scambi commerciali per 700 miliardi di euro annui in soli 10 mesi, smentendo i negoziatori di Bruxelles che inizialmente prevedevano di impiegarci tre o quattro anni. E il giubilo si è riverberato un po' anche in Svizzera, dove è stato messo l'accento sul fatto che la Corte di giustizia dell'Unione Europea non avrà voce in capitolo nel trattato.
Ma prima di tutto: possiamo davvero già definirlo un successo? E sulla base di quale aspettative si potrà considerare un successo, negli anni a venire, la Brexit? Ricordiamo che si tratta di una hard Brexit, la soluzione peggiore a parte una hard Brexit con un no deal, ancora più devastante. Le previsioni di alcuni economisti britannici sono di una perdita del 4 per cento del Prodotto interno lordo su dieci anni. Tuttavia, allo stato attuale hanno prevalso le considerazioni politiche su quelle economiche. Rivelatore è il fatto che Boris Johnson ha dato più peso alla pesca (compresa nel trattato) che alla finanza (non compresa), benché la prima conti meno dell'1 per cento del PIL mentre la seconda rappresenta il 7 per cento: come dichiarato in novembre dall'ex premier britannico Tony Blair «per molti mesi è stata messa la maggior parte degli sforzi nella difesa della nostra pesca, che rappresenta una parte una piccolissima dell'economia, e a non metterne praticamente nella finanza, dove siamo leader mondiali; non dico che non si debba provare a difendere la pesca, ma un giorno bisognerà che il Regno Unito torni nel mondo reale».
Hard Brexit, l'eredità di Theresa May
Take back control, dunque, è stato lo slogan, il mantra decisivo di Boris Johnson e dei brexiteers. Potere decidere il proprio destino nazionale senza dover tener conto di Bruxelles e della Corte di giustizia dell'Unione europea. Ma questo si è potuto raggiungere solo al prezzo della rinuncia alla partecipazione al mercato europeo. Non è sempre stata questa la posizione britannica: al momento del referendum, nel giugno 2016, persino i brexiteers erano favorevoli ad una forma di integrazione nel mercato europeo, fosse anche con l'unione doganale, è stata Theresa May a spostare l'ago della bilancia verso una hard Brexit, poiché la sovranità la si poteva ottenere solo in quel modo. Una posizione poi fatta propria anche da Boris Johnson, anche se lui aveva ancora promesso ai britannici di ottenere «il panino e i soldi del panino».
Un accordo commerciale dell'ampiezza di 700 miliardi di euro all'anno, senza dazi doganali e senza le pastoie della Corte di giustizia dell'Unione europea, recuperando una totale sovranità? Un risultato che non poteva non piacere agli euroscettici anche in Svizzera, non solo nelle fila dell'UDC. Immediatamente, è stato sollevato da più parti l'interrogativo se nelle trattative per l'accordo istituzionale con l'Ue che il Consiglio intende riaprire con Bruxelles non possa rientrare anche una soluzione di arbitraggio diversa, che non comprenda la Corte di giustizia dell'Unione europea. Se ci è riuscita la Gran Bretagna, perché non può riuscirci anche la Svizzera?
La Svizzera è parte del mercato europeo allargato
In realtà, la condizione di partenza è molto diversa. La professoressa di diritto europeo Christa Tobler lo ha sintetizzato bene, in un'intervista al Tages Anzeiger (29.12.2020): «la Svizzera appartiene al mercato europeo allargato, l'accesso è regolato dagli Accordi bilaterali, che contengono molto diritto europeo (...) Il Trattato di libero scambio fra Gran Bretagna e Unione europea non contiene diritto europeo, per cui la Corte di Giustizia dell'Ue non gioca alcun ruolo». Inoltre - sia ricordato - se è vero che la Gran Bretagna avrà le sue norme, queste non potranno essere in conflitto con quelle europee sulla libera concorrenza (quindi anche sugli aiuti statali), sulla socialità, sull'ambiente, altrimenti incorrerebbe in sanzioni, quindi dazi doganali. La sovranità è dunque limitata, nei fatti.
In conclusione, se la Svizzera (anche nell'ambito dell'accordo istituzionale in discussione) volesse liberarsi delle pastoie della Corte di giustizia dell'Ue lo potrebbe fare solo al prezzo di rinunciare agli Accordi bilaterali, accontentandosi di un trattato di libero scambio. Ritrovandosi catapultata indietro di 50 anni.
Editorial
Imperialer Angriffskrieg gegen die Ukraine
von Christa Markwalder | Mai 2022
Seit über zwei Monaten tobt der grausame Angriffskrieg Russlands gegen die Ukraine. Jeden Tag erreichen uns neue entsetzliche Nachrichten über Zerstörung, Tod und Vertreibung in der Ukraine. Auch die Schweiz ist angehalten, die Ukraine in ihrem Widerstand zu unterstützen und mitzuhelfen, der russischen Kriegsmaschinerie den Nährboden zu entziehen.
Editorial
Clairement un Plus pour la Paix
von Laurent Wehrli | Februar 2022
L’année 2022 sera particulière dans l’Histoire de la Diplomatie suisse, car, sauf surprise de dernière minute, notre pays sera élu en juin prochain par l’Assemblée générale de l’ONU pour occuper pendant les deux prochaines années un des sièges non-permanent du Conseil de sécurité de l’ONU.
Editorial
Europapolitik – wie weiter? A Christmas Carol
von Christa Markwalder | Dezember 2021
Bald ist Weihnachten. Als Kinder schrieben wir in der Adventszeit jeweils unsere Wünsche auf einen Wunschzettel - in der Hoffnung sie würden am Heilig Abend schön verpackt unter dem Christbaum liegen. Nach dem einseitigen Verhandlungsabbruch des Bundesrats im letzten Mai zum institutionellen Abkommen hat er auch eine Wunschliste an die EU formuliert in der Hoffnung sie werde bald in Erfüllung gehen: Die Schweiz soll weiterhin am...