Kolumne

Il fattore Meloni nelle elezioni europee

von Daniele Piazza | May 2024
In Svizzera la destra fomenta l’avversione contro l’Europa. L'Unione europea viene presentata agli elettori come un nemico. In Italia la prima ministra Giorgia Meloni fa esattamente il contrario: postfascista in patria, decisamente europeista sul vecchio continente. Non vuole più abolire l'UE, ma cambiarla. Le elezioni europee (6-9 giugno) sono il suo trampolino di lancio.

Deutsche Übersetzung

Moderata a Bruxelles e postfascista a Roma. L’atteggiamento ambiguo della premier italiana Giorgia Meloni è smaliziato. L’UE è rassicurata e chiude gli occhi di fronte all’erosione della democrazia in Italia. I timori iniziali di Bruxelles sono svaniti, Meloni sostiene senza riserve la Nato e l’Ucraina. Le sue quotazioni sono di nuovo salite quando ha convinto il suo amico Viktor Orban a rinunciare al veto contro gli aiuti europei all’Ucraina, accantonando per un momento il suo fervore per Putin. La conversione pro-europea di Meloni, accompagnata dal suo charme romano, ha favorito i suoi progetti per inasprire la politica migratoria europea. Ha ispirato il trasferimento all’estero delle procedure d’asilo facendosi accompagnare da Ursula von der Leyen in una serie di visite a Lampedusa, in Tunisia, Egitto e Libano. Fra la presidente della Commissione europea e la capo del governo italiano si è creato un amichevole rapporto di fiducia rinsaldato da reciproci interessi politici. Meloni non parla più della “esperienza fallimentare dell’UE”, adesso sottolinea che “l’Italia dev’essere protagonista in Europa, deve tornare al centro delle decisioni europee”. In effetti l’influenza della premier italiana cresce a Bruxelles in funzione dei suoi successi elettorali e dell’avanzata dell’estrema destra nel parlamento europeo. Dal canto suo von der Leyen ha bisogno del sostegno di Meloni se vuole essere riconfermata alla presidenza della commissione europea, tanto più che la premier italiana appare predestinata a guidare un fronte d’estrema destra nel parlamento europeo.

Giorgia Meloni non si accontenta, va oltre, ha incentrato la campagna per le elezioni europee attorno allo slogan “l’Italia cambia l’Europa”. E poi precisa: “un anno e mezzo fa abbiamo vinto le elezioni e stiamo cambiando l’Italia. Adesso è arrivato il momento di alzare la posta cambiando l’Europa”. A questo punto dovrebbero suonare tutti i campanelli d’allarme. I cambiamenti decisi dal governo Meloni erodono in modo subdolo e strisciante la democrazia italiana. La lista è molto lunga a cominciare dal rifiuto di dissociarsi esplicitamente dal passato fascista. Fra gli elettori di Meloni vi sono non pochi nostalgici di Mussolini. Simpatizzanti del fascismo si annidano nel suo partito, Fratelli d’Italia, e nella compagine governativa. Tanto che la presidente del governo evita i riferimenti diretti all’antifascismo, un principio basilare della costituzione italiana. Chi glielo rimprovera viene messo a tacere. La RAI, la radiotelevisione pubblica controllata da Meloni, ha censurato un contributo del noto scrittore ed esperto di fascismo Antonio Scurati. Ha osato affermare che “finché la parola antifascismo non sarà pronunciata da chi ci governa, lo spettro del fascismo continuerà a infestare la democrazia italiana”. E non è un’eccezione. Parecchi giornalisti e professionisti della stampa scritta e radiotelevisiva hanno perso il posto di lavoro, sono stati emarginati o soffocati da una valanga di denunce usate come strumenti d’intimidazione. Gli attacchi alla libertà di stampa avvengono senza alcun pudore.

L’aborto è un altro cavallo di battaglia dell’estrema destra. In una trasmissione della RAI, una giornalista fedele al governo si è scagliata con violenza contro l’interruzione della gravidanza, affermando che l’aborto non è un diritto, ma un reato. Un’affermazione in sintonia con la predilezione di Meloni per la famiglia tradizionale e cristiana. La premier evita tuttavia di sancire un divieto dell’aborto, non vuol mettersi contro la stragrande maggioranza dei cittadini favorevoli al diritto delle donne di interrompere la gravidanza. Il suo governo eEscogita però espedienti che riducono le possibilità di abortire. Oltre agli ostacoli burocratici e alla mancanza di strutture mediche adeguate, si permette alle associazioni antiabortiste pro-vita di esercitare le loro pressioni persino nei consultori riservati alle donne che vogliono interrompere la gravidanza. Poco o nulla a che fare con il simpatico invito “chiamatemi Giorgia, io sono una di voi, una del popolo”. Suona come una beffa anche per i più poveri cui è stato notificato il taglio dell’assistenza sociale per SMS, mentre i ricchi godono di ricorrenti condoni ed amnistie fiscali.

Ma tutto ciò non intacca la grande popolarità di Giorgia Meloni. Si sente legittimata a rincorrere le aspirazioni dell’estrema destra. È il caso di una riforma costituzionale per rafforzare il potere del capo del governo a scapito delle funzioni di vigilanza del presidente della repubblica. L’obiettivo è la concentrazione del potere e un’egemonia culturale di destra. Giorgia Meloni la rivendica apertamente e non perde tempo. Occupa il terreno nominando fedeli alleati, rigorosamente di destra, alla testa di teatri, musei e persino della biennale di Venezia. La libertà culturale è fondamentale per una società libera e aperta come la libertà d’espressione e di stampa. Queste libertà non sono colpite mortalmente in Italia, ma subiscono una ferita dopo l’altra.

È questo il volto tenebroso di Meloni, nascosto dietro il suo affascinante charme. La premier italiana si appresta, dopo le elezioni europee, ad assumere la leadership di una parte consistente della destra nazionalpopulista. Possibili alleanze, in particolare con i conservatori tradizionali, spostano a destra l’asse politico nel parlamento europeo. Si accentua il processo d’accettazione e normalizzazione dei partiti d’estrema destra con le loro venature nazionalpopuliste, postfasciste e persino neonaziste. Non è ancora una sovversione, ma una pericolosa erosione dell’Unione europea e della democrazia.