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L’UE nel mirino di Meloni

von Daniele Piazza* | Oktober 2023
“Abbiamo fatto qualcosa d’impensabile in Italia, è possibile che facciamo qualcosa d’impensabile anche in Europa”. Dopo aver conquistato il potere a Roma, Giorgia Meloni guarda a Bruxelles. Fratelli d’Italia, il partito postfascista della presidente del consiglio ha riscosso uno strepitoso successo elettorale. È balzato dal 4% al 26% dei voti in appena 4 anni. I sondaggi predicono un successo analogo anche per le elezioni europee dell’anno prossimo. I seggi a Strasburgo aumenterebbero di ben 5 volte, da 6 a 30. Fratelli d’Italia diventa così una formazione politica rilevante per alleanze, finora disdegnate, fra conservatori ed estremisti di destra. Giovanni Donzelli, un fedelissimo della premier, gongola: “Giorgia Meloni diventa una leader della destra in Europa”.

Il leader dei conservatori europei Manfred Weber si è incontrato diverse volte con Giorgia Meloni per sondare le possibilità di un’alleanza. Weber perde consensi a destra e rincorre l’estrema destra per difendere le poltrone a Strasburgo e Bruxelles. Giorgia Meloni gli fa l’occhiolino è abile e sa adattarsi come un camaleonte. In politica estera si tinge di blu, il colore dell’UE, in Italia tende al nero, il colore dei fascisti.

Quand’era all’opposizione Giorgia Meloni diceva peste e corna dell’Unione europea, da quando è al governo si è convertita all’europeismo e all’atlantismo. Ha moderato i toni nazionalpopulisti, tanto più che l’Italia dipende dagli enormi aiuti da 190 miliardi del fondo europeo di rilancio. Meloni riprende scrupolosamente le sanzioni contro la Russia, e partecipa alla fornitura di armi all’Ucraina. E’ stata una prova di forza in seno alla coalizione di governo. La prima donna alla testa di un governo italiano ha spezzato le resistenze di due machisti e simpatizzanti di Putin come Matteo Salvini e Silvio Berlusconi, nel frattempo defunto.

La postfascista Meloni non è più uno spauracchio in Europa, ha creato rapporti amichevoli e di fiducia con la presidente della commissione europea Ursula von der Leyen. Ha così potuto influire sui progetti per rafforzare le mura della fortezza europea contro i flussi dei rifugiati. Si è anche battuta per una migliore ripartizione dei profughi in Europa, ma è stata sconfessata da un amico politico di vecchia data, il primo ministro ungherese Viktor Orban, un nazionalpopulista come lei. E qui emergono le prime ambiguità di Giorgia Meloni. D’un canto simpatizza con un’antifascista convinta come Ursula von der Leyen e nel contempo va a braccetto con Viktor Orban, la bestia nera dell’UE. Entrambi hanno un debole per uno slogan caro a Mussolini, “Dio, patria e famiglia”.

Giorgia Meloni ha due facce. Nel 1996 dichiarava che “Mussolini è stato un buon politico”, non lo fa più, adesso dice che “il fascismo è un passaggio della storia nazionale e non fa parte del mio campo”. Ma non se ne distanzia, non menziona l’antifascismo neppure in occasione della commemorazione dell’inaudita strage alla stazione di Bologna che 40 anni fa costò la vita a 85 persone e fece oltre 200 feriti. La giustizia ha accertato senza ombra di dubbio che autori e mandanti erano dei neofascisti che cospiravano contro la democrazia italiana. Giorgia Meloni sorvola, parla molto genericamente di un atto terroristico. Non vuole contrariare i nostalgici di Mussolini che sono una parte non indifferente del suo elettorato.

La premier italiana usa metodi comuni agli autocrati. Diffida persino dei propri collaboratori e dirotta l’attenzione su presunti nemici. La diffidenza ha indotto Giorgia Meloni ad attorniarsi di famigliari e fedelissimi. Ha piazzato sua sorella ai vertiti del partito mentre suo marito, il cognato di Meloni dunque, è uno dei ministri più influenti del governo nazionalpopulista. I nemici sono i migranti, la comunità LGBT, i media e la giustizia. Giorgia Meloni e il suo vice Matteo Salvini hanno attaccato frontalmente la giudice di Catania, Iolanda Apostolico. Ha stabilito l’illegalità della detenzione di quattro giovani rifugiati. E’ una chiara violazione della separazione dei poteri, un’ingerenza nell’indipendenza della giustizia. Lo stesso vale per la la radiotelevisione pubblica (RAI), che ha preso partito per Meloni contro la giudice di Catania. La direzione dell’azienda è stata sostituita con sostenitori della premier. Ma neppure “Tele Meloni”, come viene chiamata, può ignorare i dati sull’afflusso di rifugiati che sono raddoppiati.

La presidente del consiglio non può mantenere la demagogica promessa di bloccare le migrazioni attraverso il mediterraneo. Il pugno di ferro non è servito a nulla. D’altro canto le ricette populistiche non servono neppure a fronteggiare la grave crisi economica e finanziaria. Il governo si limita a fare nuovi debiti che si sommano al già astronomico indebitamento pubblico. I mercati che erano ben disposti nei confronti di Meloni si innervosiscono. Vi è già chi teme una crisi come quella del 2011 che portò l’Italia al bordo della bancarotta.

Il bilancio complessivo è negativo, “speravo meglio” ammette la stessa Meloni. Nonostante ciò gode di una grande popolarità in Italia. In Europa i conservatori temono un’angosciante sconfitta elettorale e non escludono un’alleanza con Meloni. La campagna per le elezioni europee del prossimo mese di giugno è già iniziata e dietro l’angolo vi è lo spettro dell’estrema destra. L’insidia è di banalizzare la crescente radicalizzazione. Una minaccia per i valori fondamentali dell’Unione europea, le libertà, la democrazia, i diritti umani.

DEUTSCHE ÜBERSETZUNG

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* Daniele Piazza, giornalista, ex corrispondente a Palazzo federale per la televisione della Svizzera italiana (TSI). 25 mandati in 7 paesi africani per le radio della Fondation Hirondelle a Losanna, nelle funzioni di redattore capo, coach e formatore.